Vivo in una giungla, dormo sulle spine
Una scena di "Vivo in una giungla, dormo sulle spine" |
Ancora
minorenne Shahzeb Iqbal partì per un lungo viaggio dal suo natio
Pakistan all'Italia: restare nella sua patria poteva significare la
morte. Trasportato da trafficanti di esseri umani, il ragazzo è
stato inserito in un progetto teatrale. Nasce così “Vivo in una
giungla, dormo sulle spine”, opera prima di Shahzeb, coadiuvato
dall'autrice e regista Laura Sicignano.
L'opera,
che prende nome da un celebre verso di un poema popolare pakistano,
ha vinto la XV edizione del Premio InediTO-Colline di Torino 2016 per
la sezione Testo Teatrale. L'opera racconta il viaggio del ragazzo,
attraversando Paesi diversissimi tra loro in condizioni disagiate.
Arrivato in Italia c'è l'incontro del minore con la tutrice. Il
rapporto, molto difficle all'inizio, si trasforma gradualmente in
profondo affetto. Questo però viene giudicato con sospetto dal
direttore della comunità d'accoglienza: quanto l'affetto del ragazzo
verso la tutrice è sincero e quanto la sta invece manipolando?
È
una prosa che vuole interrogare lo spettatore. Il merito va anche ai tre bravi interpreti: Lisa Galantini, Aldo Ottobrino e Matteo Sintucci. Tre personaggi si
affrontano e scontrano tra incomprensioni e diversi livelli di
empatia. Dal cinismo del direttore, alla compassione non retorica
della tutrice, fino alle false storie (ma in fondo vere) del ragazzo
pakistano, l'opera non si blocca ai soliti cliché. Si rifugge da
quel senso di giustificazionismo a tutti i costi, figlio della
retorica da “poverini”. “Vivo in una giungla, dormo sulle
spine” vuole invece mostrarci i difetti di chi, arrivato qui da
adolescente, può essere capito e migliorato per poter vivere al
meglio nella nostra società. Non si tratta di integrare, ma di
indirizzare ai giusti comportamenti e passioni che possono solo
migliorare il nostro percorso vitale.
«Siamo
di fronte a movimenti di popolazioni incontrastabili – ha ricordato
la regista Sicignano – quindi non possiamo far altro che impegnarci
affinché questo avvenga con i minori scontri possibili. Il teatro
può far questo nel suo piccolo. Ora Shahzeb lavora e vuole
intraprendere una sua attività commerciale». Il teatro come
crescita di un uomo. Piccolo e indifeso, ma al tempo stesso maturo di
esperienze e con un vissuto nettamente superiore a quello dei suoi
coetanei italiani, a quindici anni Shahzeb si è trovato solo in
Italia. Per lui quest'opera teatrale è anche una prova d'orgoglio.
Aver contribuito direttamente a scrivere la propria vita e portarla
sul palco, mettendo in scena i suoi dolori, i suoi capricci e la sua
ambizione, ci fa capire quanto l'arte possa contribuire alla crescita
e al miglioramento di un individuo. E la crescita “italiana” del
ragazzo pakistano arricchisce tutti noi prima che il diretto
interessato.
Leonardo
Marzorati
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