Metti un ragazzo afghano sul palco
Ramat Safi in scena |
La
rassegna Innesti giunge al suo cuore con “Vivo in una giungla,
dormo sulle spime” e “Compleanno afghano”. Perché è con
queste due opere teatrali che si infligge il bisturi nella nostra
quotidianità immersa ormai in uno scenario multiculturale. Ramat
Safi festeggiò il suo diciottesimo compleanno in Italia, in un
centro per minori. È un passaggio importante, per un ragazzo
straniero arrivato nel nostro Paese senza sapere nulla del posto in
cui si trovava. A cominciare dalla lingua. Eppure Ramat, che a soli
diciassette anni si trovò a Genova, dopo un viaggio iniziato dal suo
Afghanistan e durato circa un anno, passando da camion, barche e
pesanti camminate, ora è un attore di teatro.
Nasce
così “Compleanno Afghano”, da un testo scritto dallo stesso
Ramat con la regista Laura Sicignano. L'inflessione pasthu resta, ma
nel suo spettacolo c'è tanta naturalezza che a volte bastano le
espressioni e le movenze del corpo per farci comprendere i suoi stati
d'animo. Ramit racconta le sue vicissitudine, i litigi con ragazzi di
altre nazionalità, le incomprensioni e la sua straordinaria gioia di
vivere. L'incertezza, l'ingenuità e la sua inesperienza danno
comunque vita a un monologo senza ombra di dubbio genuino.
In
“Compleanno afghano” ci imbattiamo in un ragazzo che viene da una
realtà infinitamente distante dal nostro vivere. Ramat è
analfabeta, non ha mai visto una chiesa, un teatro o semplicemente
delle donne che lavorano. Un alieno nella Genova dei nostri giorni ci
appare pieno di umanità e innocenza. Di fronte a tanti migranti
provenienti da realtà più vicine socialmente ed economicamente alla
nostra e quindi più carichi di ambizioni, Ramat si accontenta di un
bicchiere d'acqua, come un personaggio biblico impersona la modestia
di chi si accontenterebbe di vivere felice.
La
passione per il teatro di un ragazzo come Ramat può essere
un'occasione di riscatto e di rendersi risorsa a tutti gli effetti
per il contesto in cui si vive? Quest'opera teatrale pare darci la
risposta più attesa. Reintegrare il teatro nel corpo sociale
significa offrire porzioni di sapere per comprendere la complessità
dei fenomeni migratori, di cittadini immigrati, poiché il processo
di multiculturalità non è da leggere, come di solito si fa, in
termini lineari, ma in termini circolari, relazionali e di
reciprocità, per cui entrambe le componenti vivono un cambiamento
che crea intreccio.
Leonardo Marzorati
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