I valori dell'inclusività con Niki de Saint Phalle e l'Art Brut

Si potrebbe riassumere con le due semplici parole "Femminismo e Follia", ma sarebbe riduttivo. Due mostre contraddistingueranno l'autunno e l'inverno milanese: fino al prossimo 16 febbraio il Mudec di Milano ospita "Niki de Saint Phalle" e "Dubuffet e l'Art Brut. L'arte degli outsider". La grande scultrice franco-statunitense e gli artisti portati alla ribalta dal geniale Jean Dubuffet sono i protagonisti di due esposizioni posizionate una accanto all'altra, come ci fosse un fil rouge tra le Nanas della de Saint Phalle e le creature naif dei protagonisti dell'Art Brut.

Niki de Saint Phalle torna in Italia, Paese che amò e a cui ha dedicato opere. Basti pensare al Giardino dei Tarocchi di Capalbio, ma anche a Viva l'Italia, mappa esposta al Mudec con la sua idea di Belpaese, dove le nostre eccellenze invadono la penisola. Con il marito e collega Jean Tinguely e gli altri protagonisti del nouveau réalisme, negli anni sessanta ereggono il nel capoluogo lombardo a capitale di una nuova corrente destinata a rivoluzionare il concetto stesso di arte.

Figlia di un banchiere francese e di un'attrice statunitense, de Saint Phalle fu sempre sensibile alle cause dei più deboli. Molte sue opere presenti a Milano ci fanno capire come un'artista privilegiata, ricca e bianca, fosse sensibile alle cause delle minoranze discriminate, anticipando fin dagli anni '60 tematiche che sarebbero divenute calde negli anni a venire. Come ad esempio le diversità sessuali.

Ma è la sua dimensione femminile a trasudare dalle sue opere. Da donna de Saint Phalle vuole dare voce a un universo femminile ancora schiacciato dal dominio maschile. Così le sue graziose e prorompenti Nanas ballano colorate e solari, in una danza che oggi è uno dei simboli plastici dell'emancipazione femminile. Nelle sue sculture vediamo il rigetto verso una tradizione patriarcale e religiosa nel quale è cresciuta ma dalla quale ha voluto prendere le distanze. 

Siamo al Mudec e le culture dei Paesi extraeuropei non possono mancare. L'arte di de Saint Phalle ha diversi punti di contatto con opere provenienti dalle culture asiatiche, americane e africane. Il lungo percorso ci permette di assaporare in una giostra vivace tutta l'opera di questa scultrice di fama internazionale, che anche negli anni della sua maturità proseguì il suo lavoro di denuncia contro l'abbandono degli emerginati, fossero essi dei profughi o dei malati di Aids. 

Alle diversità viste con l'occhio e l'empatia di una "privilegiata" si passa alle opere di emarginati lontani dal successo. Fu il grande Jean Dubuffet (1901-1985) a scoprire i talenti nascosti, tra manicomi Epaesini sperduti nelle campagne di mezza Europa, alla fine del secondo conflitto mondiale. Ai lavori del pittore francese si susseguono nel percorso quelli delle sue "scoperte", fino  a giungere a nuovi artisti che possono essere incasellati all'interno dell'arte grezza.

Sono tanti gli artisti presenti, così come le opere esposte. La mostra nasce grazie alla sinergia tra Mudec e i suoi partner 24 Ore Cultura e Fondazione Deloitte con la Collection de l'Art Brut di Losanna. Buona parte dei lavori esposti provengono infatti dalla città lacustre svizzera. 

Alcuni lavori ci inquietano, come quelli di Adolf Wolfli (1864-1930), che con grafite e mateite colorate elabora mosaici floreali tra cui si nasconde un viso mascherato. Lo svizzero Wolfli tentò di abusare di due bambini e per questo finì in carcere. E che dire di Emile Ratier (1894-1984), contadino rimasto cieco che costruì con il legno sculture mobili animate da manovelle e altri meccanismi sonori, dove rumori e cigolii permettono di controllare la finitura dell'oggetto, così come i movimenti di ogni sua parte. Il veronese Carlo Zinelli (1916-1974), schizofrenico partito da incisioni sulle pareti dell'ospedale psichiatrico in cui era rinchiuso, arrivato poi a realizzare  sequenze di sagome di profilo, a gruppi di quattro o più, in file orizzontali. Sagome e temi che ricordano il graffitismo. 

Agli artisti scoperti da Dubuffet ne seguono altri di epoca recente. Segno che l'Art Brut non si è fermata ai talenti scoperti dal suo fondatore e mecenate, ma ha proseguito il suo percorso fuori da ogni regola, se non quella della fantasia più folle unita al talento individuale di ogni autore.

L'indonesiano della Nuova Guinea Noviadi Angkasapura (1979) dichiara di aver ricevuto a 22 anni la visita di uno spirito che lo ha portato a disegnare esseri umani dagli organi interni visibili. Le figure di Angkasapura sono circondati da misteriosi fili, che li sostengono come fossero marionette giavanesi. Giovan Battista Podestà (1895-1976) fu carabiniere e soldato, per poi iniziare dalle rive del suo Lago Maggiore un cammino spirituale che lo portò alla realizzazione con pasta composta da segatura, colla e gesso di polittici e sculture dal forte sapore religioso. Osservare gli scatti che lo immortalano per farsi un'idea della sua Fede. Podestà inserisce vari motivi simbolici, popolari e religiosi tratti dal Medioevo, che sono per lui un riferimento non solo iconografico ma ideologico. È un modo efficace per protestare contro la perdita dei valori spirituali propria della civiltà industriale, da una parte condannando la vita moderna e dall'altra glorificando quella passata. Sylvain Fusco (1903-1940) dopo un femminicidio finì per passare il resto della sua vita rinchiuso in un totale mutismo, disegnando donne formose con la bocca a forma di cuore.

Personalità folli e geniali al tempo stesso. Che un intellettuale come Dubuffet scovò e fece conoscere al grande pubblico. E ai primi componenti dell'Art Brut ne sono seguiti altri, alcuni dei quali viventi e tuttora attivi. Perchè l'arte grezza, quella fatta eludendo gli schemi della razionalità, è una fiammella che difficilmente può spegnersi, anzi, visitando le stanze del Mudec si scopre che i suoi focolai toccano tutti i continenti. 

L'Art Brut si sposa con i lavori naif e taglienti al tempo stesso (nonostante le curve tonde delle Nanas) di Niki de Saint Phalle. Il percorso del Mudec è unico, diviso in due capitoli ben definiti. Due mostre in una, per una giornata da passare all'interno del Museo delle Culture di Milano. Per capire noi e gli altri guardando il nostro esterno e il nostro interno. Uscendo dalle sale delle due mostre ci si accorge di essersi arricchiti con preziose gemme di inclusività. Grazie a Niki de Saint Phalle e a Jean Dubuffet e l'Art Brut.

Leonardo Marzorati

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