Dai colori del sogno al bianco e nero della vita, al Mudec due mostre imperdibili


Il surrealismo e l’attivismo sono di casa al Museo delle Culture. Fino al 30 luglio al Mudec di Milano ci sono le mostre “Dalì, Magritte, Man Ray e il surrealismo” e “MuholiA visual activist”.

La prima esposizione è un vero e proprio percorso nella storia del surrealismo, grazie ai capolavori arrivati in città dal Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam. Tele e sculture sono state tolte dalle rastrelliere del museo olandese e portate a Milano.

Si parte dal “Manifesto del Surrealismo” scritto da André Breton, presente al Mudec nella sua prima edizione. Negli anni venti del secolo scorso diversi artisti provenienti da tutta Europa si conobbero nell’allora capitale mondiale della cultura: Parigi. Breton scrisse che sogno e inconscio non avevano mai avuto tanto spazio nell’arte. Nella letteratura pochi anni prima ci aveva pensato Guillaume Apollinaire. Era giunto quindi il momento di dare forma al mondo onirico.

Antesignani del surrealismo furono i dadaisti. E proprio da Marcel Duchamp parte il percorso culturale del Mudec. La sua valigia dei sogni sembra arrivata da un universo onirico, come pure gli occhi enormi e ruote ipnotiche. I piedi di René Magritte calzano a pennello, i cannoni puntano a cieli nelle stanze, mentre uomini non vengono riflessi ma replicati da incredibili specchi. Saldavor Dalì è presente con i suoi paesaggi distorti, con Veneri di Milo provviste di cassetti o con naso e orecchio invertiti, con sagome ripiene di nuovo spazio e persino in qualità di attore nei capolavori cinematografici diretti dall’amico Luis Buñuel. Max Ernst è sempre difficile da comprendere. A fare luce sulla pittura surreale ci pensano i quadri del cileno Robert Matta e della svizzera Meret Oppenheim. Il vero istrione della mostra è però Man Ray.

Il fotografo del surrealismo ci permette di capire la chiave di svolta dell’allestimento nelle sale del Museo delle Culture: la grande passione, se non ossessione, di Man Ray per le culture del mondo. Man Ray studiò le culture africane, asiatiche, americane e oceaniche e si creò un suo museo dell’arte di tutti i continenti. Furono proprio i surrealisti, inoltre, a contestare l’esposizione a Parigi nel 1931 dell’arte delle Colonie Francesi, dove dipinti e sculture realizzate in Africa, Asia e Sud America dovevano contribuire a rafforzare il pregiudizio della superiorità della civiltà europea.

E chi meglio di Zanele Muholi ha subito, sconfitto e riproposto con la sua arte i pregiudizi razzisti subiti per il colore della propria pelle? La celebre fotografa e attivista lgbt sudafricana ha portato per la prima volta in Italia i suoi scatti. La sua storia è impressa nel suo strumento di lavoro. Nata nel 1972, Muholi ha vissuto l’orrore nell’apartheid, le disparità sociali del suo Paese, il sessimo e l’omofobia presenti nella società sudafricana. Tutte queste pagine nere della Storia sono immortalate in primi piani dell’artista, dove la sua pelle, nera giustappunto, diventa l’oggetto per denunciare.

Oltre a una rara foto a figura intera, Muholi ama il primo piano. Può indossare una criniera, come un leone della savana, può circondarsi di copertoni, come accadeva a ragazzi neri imprigionati e martoriati dai bianchi: nelle sue foto il Sud Africa appare in tutte le sue luci e le sue ombre. La tematica sociale è forte nei lavori della fotografa; la vediamo difatti avvolta in tubi della lavatrice, a mostrare le mansioni domestiche di tante donne nere nelle case dei benestanti bianchi. La madre della stessa artista era appunto una domestica.

Le foto di Muholi ci permettono di conoscere aspetti della società di un Paese lontano geograficamente e culturalmente da noi. Aspetti di un Paese e un Continente troppo spesso presentati per luoghi comuni. Muholi è un’artista fuori dal comune. Come quando la vediamo immersa in quotidiani che riportano una tragedia con tante giovane vite spezzate. O come quando si ricopre il capo di mollette e risalta le labbra come fosse la protagonista di un Minstrel show.

Gli scatti di Muholi fanno riflettere e discutere. Un bel concentrato di esperienze, sensazioni ed idee dà vita ai bianchi e neri esposti al Mudec. Più enigmatica, ma dall’indiscusso valore storico, è la mostra sul surrealismo. Gli spazi di via Savona fino al 30 luglio garantistico qualità e impegno culturale.

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